Ho 50 anni

"Il tempo passa, ritorno a lavorare, mi faccio forza tanto che tutte le persone che mi conoscono ammirano il mio coraggio. Anche in famiglia cerco di comportarmi normalmente, per non far soffrire i miei figli, che intanto cominciano a capire che le cose non vanno affatto bene e li vedo tanto preoccupati per me. Si dimostrano molto affettuosi e premurosi nei miei confronti e la cosa mi conforta..." di Vincenza Stinco

Ho 50 anni e tutto è cominciato 5 anni fa.

Erano i primi di Agosto del 2002 quando, mentre facevo colazione la mattina prima di andare a lavorare, mi tocco casualmente il seno destro e sento un nodulo duro. Rimango perplessa, ma non troppo impaurita: avevo fatto la mammografia alla fine del mese di marzo e andava tutto bene, com’era possibile che ad agosto si fosse manifestato un tumore? Penso piuttosto ad una cisti, e mi riprometto di chiamare il Centro di Prevenzione Oncologica nei giorni seguenti tenendo presente che in agosto non sarà facile avere un appuntamento in breve tempo.

Vado a lavorare, telefono al Centro, descrivo il mio problema e mi danno un appuntamento per il 29 agosto.

Intanto i giorni passano ed io mi confido con una mia amica che appare subito molto preoccupata per me e di sua iniziativa telefona ad una dottoressa di sua conoscenza e che lavora al Centro di Prevenzione Oncologica, prospettandole il mio problema. La dottoressa le fissa un appuntamento per il giorno successivo e cioè in data 14.08.02. Onestamente ero piuttosto seccata di questa interferenza, e quasi decido di non andare e di farmi visitare il 29 agosto come previsto. Ma la mia amica insiste e, alla fine, per non mostrarmi scortese di fronte al suo interessamento, decido di andare.

Il 14 agosto 2002 alle ore 9 la mia amica mi accompagna alla visita e, da quel momento la mia vita ha preso un percorso terribile, estremamente doloroso, e che sembra non debba mai finire.

Si trattava, infatti, di un carcinoma maligno di dimensioni piuttosto grosse e pertanto da togliere il prima possibile. Non riuscivo a credere che una cosa così terribile fosse capitata proprio a me… un incubo che coinvolgerà tutta la mia famiglia. Penso ai miei figli, uno di 14 e l’altro di 18 anni, e a mio marito che adoro, il quale rimane profondamente colpito dalla notizia e, disperato, piange insieme a me. Ho pianto tanto, non riuscivo a nascondere la mia disperazione, poi mi sono imposta di mostrarmi forte, almeno di fronte ai miei ragazzi, che, alla notizia, rimangono molto male, ma, grazie alla loro spensierata età, non danno segno di capire del tutto la gravità del problema.

La cosa che più di tutto mi terrorizzava era la chemioterapia, la paura di perdere i capelli e di tutti i disturbi collaterali della terapia.

Comincia così la mia odissea; l’intervento e i successivi controlli. Proprio da uno di questi controlli viene evidenziata una piccola macchia scura alla parte sinistra del bacino. Vengo inviata da un ortopedico oncologo che mi tranquillizza dicendomi che, secondo lui, non si tratta di niente di serio: forse una caduta o un angioma; comunque non gli dà molta importanza. Dopo pochi mesi iniziano i dolori alla gamba sinistra, talmente forti da non riuscire più a camminare correttamente, infatti zoppico vistosamente. Solo in quel momento mi viene diagnosticata una metastasi ossea all’altezza del bacino. Quella macchia a cui nessuno aveva dato importanza era aumentata e mi stava consumando le ossa e, successivamente, non solo il bacino, ma anche la colonna vertebrale.

Sono in preda a dolori fortissimi che solo la morfina riuscirà ad alleviare. Di nuovo chemioterapia e radioterapia. Perdo tutti i capelli e vomito frequentemente; insomma sto malissimo sia fisicamente che psicologicamente. Mi accorgo di essere entrata in un tunnel da cui non uscirò più: gli stessi dottori mi dicono che non potrò più guarire, e quindi per loro l’importante è fare in modo che “il male” non si diffonda ulteriormente e soprattutto che non colpisca organi vitali.

Il tempo passa, ritorno a lavorare, mi faccio forza tanto che tutte le persone che mi conoscono ammirano il mio coraggio. Anche in famiglia cerco di comportarmi normalmente, per non far soffrire i miei figli, che intanto cominciano a capire che le cose non vanno affatto bene e li vedo tanto preoccupati per me. Si dimostrano molto affettuosi e premurosi nei miei confronti e la cosa mi conforta: capisco di avere l’amore e la comprensione di tutta la mia famiglia che vive con me questa terribile esperienza.

Nel 2006, dopo soli tre mesi dalla fine di un ennesimo ciclo di chemioterapia, al consueto controllo vengono evidenziate numerose metastasi al fegato. Per me è la fine. Ora penso veramente con terrore al mio futuro. Quanto mi resterà da vivere? Mi si affaccia nella mente quella parola che mai ho voluto pronunciare, fiduciosa che con le cure sarei migliorata, cioè la parola morte. Sono davvero alla fine? La cosa più insopportabile è non poter più vedere i miei figli e mio marito, le uniche persone che amo veramente. Sono disperata, piango tanto ma poi, come le altre volte, cerco di reagire e di andare avanti con coraggio. Il lavoro riesce in parte a distrarmi, ma il pensiero è sempre lì, alla mia salute, alla mia paura. Capisco di aver bisogno di un aiuto psicologico che mi aiuti ad accettare quello che mi sta capitando e pertanto inizio a frequentare il CSPO, un centro per la riabilitazione oncologica, che mette a disposizione di chi ha avuto esperienze con problemi oncologici, psicologi molto validi e attività di gruppo molto interessanti.

Trovo una psicologa molto brava che mi sarà di grande aiuto, con la quale posso aprire il mio cuore e la mia mente liberamente, senza dovermi costringere a fingere una forza interiore che in realtà, forse, non possiedo.

Anche i corsi di gruppo mi sono stati di aiuto: mi hanno permesso di confrontare la mia esperienza con quella di altre persone che hanno avuto esperienze oncologiche.

Al momento attuale, dopo numerosi cicli di chemioterapia, sono migliorata. Le metastasi al fegato sono quasi scomparse, quindi sono più serena e capisco che la cosa più importante per chi è colpito da queste malattie, è trovare la forza di combattere con tutte le proprie forze, evitare di lasciarsi andare, evitando così che la terribile malattia possa prendere il sopravvento. L’umore, in questi casi, è molto importante.

Io, ora che sto meglio, vivo la vita in maniera quasi normale. Mi sono molto avvicinata alla fede e prego molto.

Cosa molto importante è che sono riuscita ad infondere anche nei miei familiari la fiducia che questa malattia possa essere controllata.

Purtroppo la mia battaglia non è ancora finita; cerco di vivere intensamente il presente, di non fare progetti a lungo termine, ma una cosa è certa: continuerò a lottare finché ne avrò forza.