Un percorso

“Signora, lei ha un tumore.” Mi sono trovata d’improvviso avvolta in un caldo malsano ed ho iniziato a piangere. E adesso? Quale sarà la strada da percorrere e quanto dovrò soffrire? Ce la farò? Gentilmente il professore mi spiegava che era una cosa minima, circoscritta e che dovevo essere fiduciosa"... di Liviana Fredducci

 

Adesso capivo il perché di quegli occhi cerchiati, il viso terreo e spaventato.

“Signora, lei ha un tumore.” Mi sono trovata d’improvviso avvolta in un caldo malsano ed ho iniziato a piangere. E adesso? Quale sarà la strada da percorrere e quanto dovrò soffrire? Ce la farò?

Gentilmente il professore mi spiegava che era una cosa minima, circoscritta e che dovevo essere fiduciosa.

Quando sono uscita dall’unità senologica mi sono chiusa nel mio piumino come ad innalzare una fortezza, per non crollare.

Ho pianto ininterrottamente 2 giorni.

La mia amata bassotta mi leccava le mani e mi guardava fissa, triste. Ed io mi sentivo in colpa poiché davo sofferenza a chi mi stava dintorno e soprattutto perché non riuscivo a fermare quel torrente di lacrime.

Infine ho preso coscienza che c’era da fare, avevo un compito da affrontare e da risolvere: non potevo sprecare del tempo prezioso.

È così iniziato l’iter della burocrazia.

Ho incontrato il chirurgo al quale ho chiesto brutalmente la verità e lui, brutalmente, mi ha risposto.

Immediatamente mi sono affidata a lui: sentivo che non mi tradiva.

Il giorno del ricovero mi sono presentata con due bagagli: uno delle mie cose personali e l’altro -invisibile - dei miei affetti personali e delle cose belle della mia vita.

- “Ora signora, le inietterò l’anestesia e lei dormirà”- e immediatamente sono scivolata in un sonno risanatore.

La mattina successiva all’operazione, molte donne si aggiravano nel corridoio avvolte nelle loro vestaglie più o meno griffate, i capelli più o meno in ordine, una parvenza di trucco, aggrappate a quella femminilità duramente violata ed ho provato una profonda commozione nel vedere di quanta forza e di quanta determinazione siamo capaci noi donne.

Credo fermamente che la sofferenza crei un senso di profonda fratellanza.

Ho iniziato la radioterapia e per 7 settimane ho condiviso con le mie provvisorie compagne l’attesa della chiamata nello spogliatoio e il sollievo di uscire da quel luogo in cui la parola cancro si vedeva e si respirava dovunque.

Sono passati due anni dalla mia operazione e mi sono accorta che qualcosa dentro di me è cambiato.

Mi sento di dire – senza retorica – che ogni esperienza può servire a guardarci dentro e ad apprezzare ciò che veramente ha valore.

Non penso mai alla morte: la morte fa parte della vita ed il sole sorge tutti i giorni: spetta a noi far si che non si spenga.