Sognando una farfalla

"Ricordo che durante una seduta un’infermiera mi fece una lieve carezza sulla gota, e su essa scese una lacrima. Strano, quella lacrima era dolce. Forse perché racchiudeva in sé tutta la riconoscenza per l’atto di amore ricevuto non per compassione, ma per comprensione ed aiuto..." di Rosanna Rossi

Quel tiepido pomeriggio di fine settembre ero proprio serena. Ero una distinta signora di sessanta anni portati molto bene ed avevo finalmente raggiunta la pensione con molti fattori positivi: un marito, due figlie, tre nipotini, una casa, la salute ed una vecchia adorabile mamma.

Potevo finalmente fare tutto ciò che per anni avevo sognato: leggere tanti libri, passeggiare con la mia metà, e fare la nonna. Non desideravo niente di più.

Quella sera stavo giocando con le mie due nipotine quando una per caso mi urtò il seno.

Sentii una fitta dolorosa, d’istinto mi palpai con la mano e trovai una pallina poco più grande di un chicco di riso. Non è possibile non è possibile, ripetevo incredula: ho fatto la mammografia a fine luglio e tutto andava bene.

Il seguito è prassi comune: il giorno dopo dal medico (il sostituto perché il mio era assente) che mi tranquillizza dicendo che non è niente, bastavano degli impacchi caldi.

Il mio istinto mi dice che non è possibile e che devo continuare la ricerca. Infatti il giorno dopo ancora, il mio medico conferma i sospetti e d’urgenza mi manda dallo specialista.

Il terrore di un cancro, la disperazione di non farcela, la paura della morte, si concretizzano quando dall’ospedale il chirurgo mi telefona: venga che dobbiamo parlare.

La sentenza cambia tutta la mia vita e quella dei miei familiari.

Davanti a me non vedo più futuro; non riesco più a leggere i miei amati libri.

Poi l’intervento di quadrantectomia, le medicazioni, la riabilitazione e la radioterapia.

Questa non mi causa particolari disturbi, solo mi toglie il sonno.

Faccio la forte, anche se vorrei tanto essere coccolata come una bambina.

Finalmente reagisco con testardaggine e riprendo la mia vita quasi normale, quasi perché la sera quando vado a letto mi chiedo sempre: come sarà la morte? E se domattina non mi svegliassi?

Passano cosi due anni e la tempesta comincia a svanire nel ricordo.

Proseguono i normali controlli semestrali.

Una mattina vado al reparto di radioterapia: il medico mi visita, con la ricerca dei marcatori in mano, e mi ripete che va tutto bene.

(Ma com’è buffa la posizione di visita! Con le mani alte sulla testa, come a significare: ecco, mi arrendo, e questo il mio seno martoriato che vorrei nascondere e che invece viene esaminato e palpeggiato senza pudore).

Pochi giorni dopo, tranquilla, mi sottopongo alla mammografia ed alla visita. Anche qui il medico dell’ospedale che mi ha in cura mi ripete che va tutto bene.

Scusatemi se insisto su questi particolari, ma dovete immaginare il mio stato d’animo.

Chi ha controlli periodici sa quanto è penosa l’attesa, ma doppiamente tranquillizzata si era sopita l’angoscia che attanaglia il cuore ad ogni controllo ed attendevo con calma di essere chiamata per l’ecografia.

Lo scenario cambia improvvisamente, perché l’ecografista, che non ringrazierò mai abbastanza per avermi salvato la vita, mi avverte che allo stesso seno c’è un nuovo nodulo sulla cicatrice, grande quanto una mandorla.

Nei giorni precedenti avevo notato che la cicatrice stava cambiando, come se si muovesse, ma nella mia ignoranza (o forse era la paura di un secondo cancro?) non vi avevo dato importanza.

Improvvisamente il cielo divenne nero e d’intorno tutto si muoveva galleggiando.

Ero sola, ed avrei voluto urlare al medico di prima ed a quello del reparto radio: “Come avete potuto dirmi di stare tranquilla, ma non vedete che ho un grosso tumore?”.

Ma non dissi nulla, e tornai a casa.

Da quel momento la vita mi sembrò finita per sempre.

L’intervento chirurgico portò via per sempre il seno, e con esso la mia femminilità, non mi sentivo più una donna, ma un essere amorfo, non riuscivo più a guardare il mio corpo. Poi venne la chemio, che mi diede tanta, tanta sofferenza.

Ricordo che durante una seduta un’infermiera mi fece una lieve carezza sulla gota, e su essa scese una lacrima. Strano, quella lacrima era dolce. Forse perché racchiudeva in sé tutta la riconoscenza per l’atto di amore ricevuto non per compassione, ma per comprensione ed aiuto.

Non reagivo a niente, e l’unica commozione mi prendeva quando incontravo ragazze giovanissime come sorelle di malattia. E quante ne ho conosciute !

Ma la voce della vita è forte: ti chiama continuamente con qualsiasi mezzo. A me bastò un avverbio per riallacciarmi ad essa.

Fu quando lessi una storia di una nota scrittrice contemporaneamente che narrava di un marito divenuto amante di un’amica della moglie. Ma la moglie si ammala di tumore al seno e, “naturalmente morì”, ed al ritorno dal funerale il marito ha un appassionato amplesso con l’amante.

Sentii le viscere contorcersi ed un urlo esplose dentro di me.

Ma che ne sai, tu scrittrice, delle sofferenze morali e psichiche che procura il tumore al seno? E come puoi dire “ naturalmente morì”?

Lo sai, tu scrittrice, che non ho voluto nemmeno fare la ricostruzione del seno perché mi avrebbero rifatto il capezzolo con la pelle della vagina? E l’idea mi dava il senso della profanazione ?

Lo sai, tu scrittrice, che mi sono sentita violentata nel mio essere donna quando mi hanno tolto tutti i linfonodi all’ascella, quando mi hanno scavato la mammella, quando il liquido giallo della chemio entrava nel mio sangue mescolandosi con esso, e regalandomi per giorni interi vomito, vomito, ed ancora vomito?

Ma non è naturale morire, è naturale vivere e combattere e vincere.

Questa è stata la mia ripresa.

Inoltre ho avuto la gioia di avere una quarta nipotina. Ho iniziato un percorso di volontariato compatibile con la mia età.

E quando sono più depressa penso che c’è sempre chi sta peggio di me.

Poi si sono intrecciate una serie infinita di peripezie familiari, a cominciare dalla perdita della mia mamma ed io ho iniziato ad essere la persona più forte della famiglia e non esagero se affermo che, da mattone scartato, sono diventata pietra d’angolo.

Adesso penserete che la mia storia sia finita, ma non è cosi.

Adesso, a distanza di otto anni dalla mastectomia, ancora una volta ho percepito nel mio corpo qualcosa di anomalo. Un dolore intenso se mi tocco tra l’ascella e l’altro seno.

Ancora una volta il medico mi ha visitata e mi ha ripetuto di stare tranquilla, ma la mammografia ha evidenziato delle microcalcificazioni all’altro seno, da ricontrollare dopo sei mesi.

Penserete che sono di nuovo sconvolta e disperata?

No, non riesco più a piangere. Mi sento quasi serena, perché ho capito che la vita è bella e degna di essere vissuta in qualsiasi situazione.

In questo istante, improvvisamente, e non so spiegarvi per quale motivo, mi è tornato in mente il soldato giovinetto di “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque che dà la sua vita per cercare di sfiorare una farfalla.

Ed io che vivo circondata da persone che mi amano e che hanno ancora bisogno di me, che semplicemente affacciandomi in terrazza posso ammirare alberi e fiori e farfalle, devo farmi abbattere da due, o forse tre, tumori?

No certamente.

Certo il giorno del controllo avrò tanta paura, e forse mi farò accompagnare, ma continuerò a lottare, ne sono sicura.