Il coraggio viene

"Non potevo abbandonarmi alla disperazione ma difendermi era necessario: questa volta era capitato a me! Una girandola di sentimenti, paure, emozioni mi hanno invaso; sono rimasta attonita e incredula di fronte alla conferma di un dubbio sempre temuto: c’era la malattia, un tumore..." di Angela Boni

 

Quasi un anno fa.

Il coraggio viene. Per forza e necessità. Non potevo abbandonarmi alla disperazione ma difendermi era necessario: questa volta era capitato a me! Una girandola di sentimenti, paure, emozioni mi hanno invaso; sono rimasta attonita e incredula di fronte alla conferma di un dubbio sempre temuto: c’era la malattia, un tumore.

E quella inquietudine che da tempo mi possedeva, ecco, è scomparsa. Ho cercato allora di concentrare i miei pensieri sul presente, tenendomi occupata, soprattutto fisicamente: il lavoro distoglieva l’attenzione dai pensieri ossessivi per qualche ora e persino le faccende domestiche, mai amate, hanno assunto una attrattiva speciale, quella di esaurire energie per poi crollare nel sonno senza sogni alla sera.

Il tempo ha assunto una valenza controversa, dove non erano più possibili speculazioni sul passato, il futuro rappresentava un incognita vera e vivevo un presente che si consumava nell’attesa.

Non avevo alternativa se non scommettere su me stessa, sulle mie risorse vitali e positive, mettendo a tacere quello che mi avrebbe fatto male ed affrontare con coraggio di volta in volta, una cosa alla volta, quello che sarebbe comunque arrivato, senza indugiare nell’immaginazione. In breve tempo sono entrata in una logica di vita del “qui e ora”, indispensabile difesa per non scivolare nell’abisso dell’angoscia pura e senza scampo. Nei momenti migliori mi sono sentita una guerriera, di fronte ad una guerra non voluta, ma senza possibilità di uscita se non quella di armarsi di coraggio e responsabilità, per me e per gli altri, imparando a vivere per tappe, con forza d’animo.

Cosi ho cominciato a fare quello che c’era da fare.

In quei giorni di inizio settembre, in uno stato di confusione, il sentimento dominante era una assurda incredulità: come è stato possibile, perché io? Domande senza senso a cui nessuno può rispondere. Volevo capire, sapere perchè mi ero ammalata di quella malattia dal nome impronunciabile e la più temuta. Poi, banalmente, arriva la consapevolezza della caducità della condizione umana, che sperimento con stupore su me stessa per la prima volta, forse. Il mio tempo non è infinito. Lo so, ma come tutti ho sempre vissuto come se ci fosse sempre un domani.

In fondo mi sono detta, conviene “accettare” e partire da uno stato di fatto irrevocabile, ma non per questo rinunciatario, conservare la fiducia in un “dopo”, per sistemare le domande, i perché, l’analisi, la ricerca di risposte, se mai ci saranno e comunque un tempo per cambiare.

In quei giorni, mi sono sentita inevitabilmente sola; nessuno poteva sostituirmi. Non c’erano deleghe e scorciatoie. Le decisioni e le responsabilità erano mie e ho cominciato a prenderle decidendo quello che potevo decidere, ad iniziare con lo scegliere dove e a chi affidare il mio corpo e la mia vita. Mica è facile: ti senti sola con te stessa, anche se hai accanto affetti importanti e brave professioniste che fanno egregiamente il loro lavoro e ti danno protezione. Sai che perderai una parte di te stessa, che non è solo l’integrità fisica.

E cosi è iniziato il mio “percorso” nella malattia.

La vita cambia anche se resta la stessa apparentemente per un po’, almeno in certi momenti. Continua il quotidiano, il lavoro, le routine: mangi meno e senza gusto, dormi con le gocce e ti svegli ad un altro giorno, senza tanti disturbi, se non quelli dell’anima.

Sono consapevole ma incredula. Non c’è più nulla di normale tutto è sovraesposto. In quella tempesta di sentimenti perdo qualcosa di importante per me: ho smesso di leggere! Sono rimasta senza parole, quelle scritte. La lettura è sempre stata un’abitudine confortante, un dialogo interiore, una ricerca, un’evasione, sogno e realtà, scoperta, conoscenza, banalità, noia, gioia e tant’altro che mi ha sempre accompagnato quotidianamente nella mia vita, anche nei momenti più difficili e dolorosi. Un pezzetto di cielo. Un rifugio. Nella sala d’aspetto di fronte ad un display luminoso che scandiva la mia attesa, inquieta, scaramantica, ho chiuso il libro e non sono più riuscita ad andare avanti. Un fatto inedito: quel libro chiuso, “La polvere sull’erba” abbandonato sul tavolino sotto la polvere per mesi, ha scandito simbolicamente la cesura della vita fra “normalità “ e malattia.

Nei giorni dell’emergenza non c’è spazio per simili lussi: niente speculazioni, siamo in guerra!

Avevo un sacco di “porte da aprire” e lasciare alle spalle, sperando di non rimanerci incastrata dentro. L’ho fatto malgrado tutto con una grande stupefacente serenità, oggi ne ho un po’ meno, forse. Tutto è andato molto bene, per ora. Sono stata fortunata non ho fatto cure, quelle. Ma ci sono sofferenze che devono trovare una sistemazione. Devono essere metabolizzate. Il cambiamento che ogni mattina vedo nello specchio, voglio che sia una forza, un richiamo a guardarmi in faccia e dirmi “oggi è un altro giorno prezioso”. Non lo sprecare.

Sto facendo un percorso per me stessa, dentro me stessa partendo dalla malattia, accettando di farmi aiutare. Credo di andare avanti con coraggio; talvolta sono un po’ triste, disorientata, confusa, stanca, contraddittoria, arrabbiata con questo mondo, che non mi piace certe volte. Comunque sono alla ricerca e spero di farcela.

Oggi, ho ripreso a leggere.